L’autore si propone di affrontare il rapporto tra materia e pittura nell’ambito dell’arte novecentesca. Il problema della materia in arte coincide con la stessa storia tecnica dell’arte. L’attenzione a questo aspetto, però, è stato per secoli nascosto nei laboratori e nei trattati di pittura; la superficie del quadro doveva mantenere il suo aspetto di illusione tridimensionale su una superficie bidimensionale.
Nel Novecento gli artisti superano questo tabù, per rappresentare sul piano dell’espressione la stessa tridimensionalità. Fino alla realizzazione di opere poli-materiche. Dirà Enrico Prampolini: “L’arte polimaterica non è una tecnica ma – come la pittura e la scultura – un mezzo di espressione artistica…” ( Enrico Prampolini, “Arte Polimaterica”, Roma 1944). Questi materiali vengono composti ed assemblati sul supporto assieme alla pittura. Decade la rigida differenziazione tra pittura e scultura, in una ricerca di sintesi che, con largo anticipo sui tempi, Prampolini identifica anche come totale integrazione tra arte polimaterica ed architettura, della quale la prima è “una continuità organica“.
In questo contributo si parte dal polimaterismo per arrivare all’informale materico, centrato in particolare sull’opera di Jackson Pollock e Burri e all’”art brut” (Dubuffet). Non si potrebbe spiegare nemmeno quella che è stata chiamata “Arte povera” senza questo allargamento semiotico dello sguardo. L’attenzione al significante si fa così ravvicinato e sperimentale da trasformare lo stesso codice pittorico.
E’ curioso notare che gli artisti che fanno maggiormente appello al lavoro sulla materia, in realtà sottendono tutt’altro. Che cosa può essere questo “tutt’altro”? La luce interiore (immateriale), come sostenevano i filosofi medievali? La “trasformazione della materia”, in base alle teorie degli alchimisti? O lo spirito, di cui vi è ampia testimonianza nelle filosofie e nei filosofi di Occidente e d’Oriente?
Dal XIX secolo in poi l’Occidente si configura come la civiltà della materia e della tecnologia. Ma mentre la pubblicità tende a mascherarne gli aspetti più duri e anti-umanistici, gli artisti provocatoriamente la amplificano, le conferiscono uno spessore inconsueto, la fanno diventare “problema”: si pensi alla bruciatura della plastica di un Burri.
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