Mondrian al di là del confine tra tecnica e arte

L’Astrattismo è una tendenza artistica del ‘900 che abbandona più o meno completamente la riproduzione del reale per giungere alla più profonda elaborazione formale del linguaggio visivo. Parallela alla dialettica filosofica tra i poli del positivismo e dello spiritualismo, la tendenza all’astrazione va via via allontanando da sé ogni riferimento al mondo esterno fondando le regole del proprio linguaggio su elementi interni alla forma, capaci di giungere alla vera essenza delle cose, alla struttura più profonda delle forze della natura.
L’Astrattismo parte dalle  premesse  teoriche e culturali del simbolismo, con la sua sintesi decorativa e il valore espressivo dato alla forma e al colore, dalle deformazioni fauves e dalle scomposizioni cubiste, sviluppandosi tra una direzione espressivo-simbolica, che presta massima attenzione agli aspetti emotivo-psicologici del colore e al ritmo prodotto dai rapporti di forze in atto nel campo o nella visione, ed una  matematico-razionale, tendente alla massima depurazione della forma individuata nella pura astrazione geometrica.

I principali esponenti dell’Astrattismo come corrente d’avanguardia storica sono Kandinskij, primo teorizzatore della tendenza e autore già nel 1910 del primo acquerello in forma totalmente non oggettiva; Klee, che approfondì in senso introspettivo e psicologico la costruzione dell’immagine attraverso la combinazione di linee, segni, superfici colorate, ideogrammi; Mondrian, per il versante più razionale e analitico. Ad essi si affiancano R. Delaunay, Kupka, Larionov (raggismo), Malevic (suprematismo), Tatlin, Gabo, Pevsner, El Lissitskij, Archipenko, Brancusi, Arp, Zadkine, Radice, Rho.

L’Astrattismo, praticato in diverse forme riconducibili al discorso non oggettivo proprio della tendenza, o assimilato nel suo portato culturale più generale di ricerca dell’essenza non apparente delle cose, svincolata da qualsiasi necessità di un referente  che non sia l’indagine teorica o la verifica delle componenti formali del linguaggio, diventerà uno dei riferimenti cardine di molte esperienze del ‘900, dall’espressionismo astratto all’informale, dall’arte programmata e neoconcreta al minimalismo.
Il comune punto di arrivo dell’arte d’avanguardia dell’inizio del secolo è la conquista di una pittura senza alcun rapporto con la realtà esteriore, libera da ogni condizionamento di esperienza visiva; la parola Astrattismo ha infatti etimologia affine al latino “abtrahere” e indica dunque un derivare, un estrapolare di forme dalla riconoscibile immagine del reale.

De Stijl

Mondrian è tra i protagonisti, insieme con Van Doesburg, Rietveld e Oud, del movimento funzionalista De Stijl, la cui poetica è esplicitamente legata al neoplasticismo, movimento nato con la fondazione della rivista De Stijl e definito in due manifesti del 1918 e del 1920 firmati dallo stesso Mondrian (che poi fu allontanato dal gruppo), da Van Doesburg, Vantongerloo e altri.
Il movimento, nato dall’esigenza di certezza, chiarezza e ordine sentita dagli artisti che vi aderiscono, propugna la costruzione di una nuova forma plastica oggettiva, valida per tutti in quanto basata sull’astrazione di tutte le forme e di tutti i colori, ossia sull’utilizzo di linee e colori primari nettamente definiti. Il legame con la scuola del Bauhaus è così stretto che uno scritto anonimo di Mondrian del 1920 è pubblicato nella collana “Bauhaus Bücher”, come caposaldo della nuova teoria che vede il concetto di forma sostituito da quello di “formazione”, analogo a quello di costruzione, per cui la forma viene impiegata razionalmente nel vasto campo degli oggetti d’uso.

Piet Mondrian

Piet Mondrian (Amersfoort, 1872-New York, 1944) inizia la sua attività nell’ambito di una pittura realista di ascendenza genericamente postimpressionista, con tecniche complesse e con riferimenti alla tradizione paesaggistica olandese.

Negli anni intorno al 1910 l’artista intraprende un processo astrattivo dalla realtà, graduale ma continuo, come dimostra la nota serie degli alberi: da L’albero rosso a L’albero argentato, a Melo in fiore (per citarne alcuni), nel giro di pochi anni la sua rappresentazione dell’oggetto si trasforma, pur mantenendo lo spunto naturalistico, in armonico rapporto di linee, colori e piani.

L’albero rosso; 1909-1910; olio su tela; 70×99 cm. L’Aia, Gemeentemuseum.

Nel primo dei quadri citati, attraverso il movimento tormentato dei rami e il colore (rosso fiammeggiante, come lingue di fuoco; blu cupo, con varietà tonali più chiare), il pittore esprime la propria reazione emotiva di fronte alla natura, ponendosi nella direttrice vangoghiana-fauvista, mentre la prevalenza di linee curve è un’eco dell’Art Nouveau.

Nell’Albero argentato, il colore, che predominava per qualità e quantità nella precedente composizione, è sostituito da tonalità fredde, perciò più «riservate», per cosi dire, meno emozionali e violente. L’albero, pur ancora riconoscibile, da luogo piuttosto a soluzioni stilistiche nell’organizzazione reciproca delle linee.

 L’albero argentato; 1911; olio su tela; 78,5×107,5 cm. L’Aia Gemeentemuseum

Nel Melo in fiore, infine, dominano solo le linee, anche se il loro andamento deriva da quello dei rami dei due alberi precedenti. Nella serie degli alberi, l’astrazione consiste in una progressiva semplificazione delle forme e degli spazi, in una ricerca di «stile», ossia di purificazione, ottenuta regolarizzando le infinite varietà della natura, riconducendole alla loro essenza e, quindi, cercando di capire la sostanza della realtà piuttosto che copiarla.

Melo in fiore; circa 1912; olio su tela; 78×106 cm. L’Aia Gemeentemuseum

Il dato «naturale» è tuttavia sempre presente; la forma è astratta, ma suggerita dalla realtà – che viene interpretata secondo la sensibilità individuale del pittore – ed è mossa, contrastata, in qualche modo ancora drammatica.

Al raggiungimento di questa concezione non è estraneo il cubismo, che Mondrian ha modo di conoscere a Parigi, dove si reca nel 1912 restandovi per qualche anno; ma quando, nel 1914, torna in Olanda ed è costretto a rimanervi fino al 1919 per lo scoppio della guerra e l’invasione tedesca del Belgio, l’artista, ripensando a tutte le esperienze di quegli anni, incontrandosi con altri artisti e aderendo infine a De Stijl (1917), viene elaborando un modo nuovo, originale di intendere la pittura, che lo conduce, passo dopo passo, all’astrattismo assoluto. Il cubismo, per Mondrian, non era riuscito a giungere alle conseguenze estreme della sua scoperta, perché restava legato alla realtà, limitandosi a scomporla e ricomporla in una diversa disposizione delle facce dei volumi. «L’intenzione del cubismo – dirà molti anni dopo – era di rendere il volume. Cosi era mantenuto lo spazio tridimensionale, cioè lo spazio naturale. Il cubismo restava dunque un modo di espressione sostanzialmente naturalista».

Mondrian, abolendo la terza dimensione e giungendo all’estremo dell’astrattismo, non cerca soltanto i valori esclusivamente estetici indipendentemente dai contenuti emotivi, ma tenta addirittura di superare l’”individuale”. Poiché per lui il dramma umano nasce dal contrasto fra il sentimento individuale e l’aspirazione all’universale e, quindi, fra l’egoismo del singolo e l’armonia collettiva (e forse ciò gli era suggerito dalla guerra, spaventosa violenza dell’uno sull’altro, rottura di ogni equilibrio, di ogni rispetto reciproco), scopo dell’arte deve essere quello di farsi modello di perfezione razionale, di armonia suprema.

L’attività estetica perciò non è fine a se stessa; anzi, ha una finalità etica, perché può condurre l’uomo a specchiarsi nella perfezione dell’opera d’arte, perfezione non calata dall’alto, ma raggiunta attraverso l’uso della ragione: quella ragione che ha permesso il progresso scientifico moderno, quella ragione che è patrimonio di ognuno e che ognuno può usare per raggiungere l’universale.

Non esiste dunque per Mondrian contraddizione fra tecnica e arte: l’una e l’altra parlano il linguaggio chiaro della logica, non quello confuso dei sentimenti.

La funzione dell’arte non è quella di essere utile all’attività pratica dell’uomo (come per il costruttivismo), bensì quella di innalzarlo verso la perfezione. Questo è il senso politico che deve essere dato alla concezione di Mondrian: utopistica, certo, ma di grande impegno morale.

Perciò la pittura non deve copiare la realtà esterna, che è apparente e transitoria; anche quando, nei secoli precedenti, tema della pittura era la realtà, il suo valore consisteva non nel soggetto ma nella sua resa attraverso il linguaggio pittorico: linguaggio che, per Mondrian, aveva anche allora come strumenti indispensabili «la linea e il colore».

Bisogna quindi andare fino in fondo: non nascondere i rapporti di linea e colore dietro le forme particolari del soggetto rappresentato, ma mostrarli con chiarezza indipendentemente dal soggetto. E fin qui l’idea di Mondrian coincide con quella di Kandinskij e di tanti altri.

La sua originalità è poi nel tentativo di esprimere con la pittura non il sentimento individuale, ma il sentimento collettivo, universale, mediante un’unica forma che egli chiama «neutra», il rettangolo, perché in esso la linea non ha l’ambiguità della curva ma la decisione inequivocabile della retta e perché nei suoi angoli si equilibrano in unità le due forze contrastanti delle diverse direzioni della linea: quella verticale e quella orizzontale (ecco il raggiungimento della serenità, al di sopra del contrasto).

Questo per Mondrian è lo scopo della pittura moderna, la «neoplastica», termine che egli usa preferendolo a «De Stijl», dando evidentemente alla parola «plasticismo» non il significato criticamente esatto di evocazione in pittura della volumetria scultorea, ma quello di rapporti armonici.

Perciò il «neoplasticismo», invece che tendere all’illusione del rilievo, è bidimensionale e limita i colori a quelli elementari per evitare che, nel loro rapporto reciproco, si torni nuovamente a una sensazione tridimensionale.

La pittura, dunque, è solo pittura: è «pura visibilità» (Konrad Fiedler) e non obbedisce alle leggi della natura, ma solo alle proprie; non imita niente di esterno; è, secondo quanto aveva scritto Maurice Denis, «una superficie piana ricoperta di colori organizzati secondo un certo ordine».

È questa, per Mondrian, la sola e vera realtà che deve essere perseguita dall’artista «neoplastico», la cui pittura perciò egli preferisce chiamare «concreta» perché, come afferma un altro degli esponenti di De Stijl, «nulla è più concreto e reale di una linea, di un colore, di un piano» (Theo Van Doesburg).

Come abbiamo detto, Mondrian giunge per gradi agli estremi limiti dell’astrattismo. Dopo la serie degli alberi e il superamento del cubismo, dipinge linee scure orizzontali e verticali su fondo chiaro, come «segni» aritmetici di «più» e di «meno» (sono le tele chiamate, appunto, Più-meno).

Composizione con linee; 1917; olio su tela; 1,08×1,08 m. Otterlo (Olanda),  Rijskmuseum Kroller-Muller.

 Successivamente passa alla composizione di quadrati colorati su fondo bianco e di una serie di quadrati sull’intera superficie (come una scacchiera) oppure di quadrati e rettangoli, per giungere infine, dopo il 1920, al massimo della semplificazione e della chiarezza con grandi rettangoli delimitati da forti strisce nere sovrapposte, affinché il colore dell’uno non influenzi quello dell’altro, riducendo i colori stessi ai primari (rosso, giallo, blu) intensamente distesi in superficie e alternandovi tinte neutre (bianchi e grigi).

Composizione con piani di colore; 1917; olio su tela; Collezione privata

Composizione con rosso,giallo,blu; 1921; olio su tela; 1,03×1,00 m. L’Aia Gemeentemuseum.

Per molti anni Mondrian dipinge sistematicamente con questo stile personalissimo, con sottili variazioni nelle dimensioni delle forme geometriche, nella distribuzione cromatica, nello spessore delle linee. Ma non si tratta di una ripetizione monotona e meccanica di se stesso, perché ognuna di queste variazioni genera un totale spostamento di tutti gli equilibri interni del quadro.

Mondrian ha raggiunto l’assoluto, la perfezione della forma; ogni modifica sarebbe impossibile, perché ciò che è perfetto non è perfettibile: è immobile e immutabile. Per questo si è accusato il pittore di aridità matematica. E, certo, è vero che in Mondrian si ha il senso «aureo» della precisione del calcolo; ma soltanto una tesi romantica può scambiarlo per freddezza, perché, come un Piero della Francesca moderno, Mondrian non fa matematica; «esprime» piuttosto il sentimento della perfezione matematica e quindi della bellezza: quella perfezione e quella bellezza ideali cui l’uomo aspira e che può capire, quasi in una ripresa neoplatonica, attraverso la ragione.

Composizione con Giallo Blu e Rosso

Composizione con Giallo Blu e Rosso misura: m. 0,72 x 0,69. Olio su tela, dipinto tra il 1939 e il 1942. Mondrian vi aggiunse il rettangolo blu e il quadrato rosso nel 1942 a New York. Si trova nella Tate Gallery, a Londra.

Piet Mondrian, Composizione con Giallo Blu e Rosso, 1937-42
Piet Mondrian, Composizione con Giallo Blu e Rosso, 1937-42

Otto linee verticali, parallele, ma collocate a differenti distanze una dall’altra, s’intersecano con quattro linee orizzontali, formando un reticolo di quadrati e rettangoli di diverse misure. Tutte le linee potrebbero prolungarsi all’infinito, lasciando aperta, da uno o due lati, una quantità di quadrati e di rettangoli nelle quattro estremità del quadro.

Un rettangolo giallo, aperto nei suoi due lati, appare all’estrema destra, in alto; una fascia blu chiude i lati di tre rettangoli aperti; sotto, a destra, si nota un quadrato rosso, c’è anche un rettangolino aperto da un lato, inizio di un’altra figura geometrica, bruscamente interrotta dalla cornice o dalla stessa volontà di terminare la pittura.

Nel suo scopo di creare un’arte completamente nuova, astratta e razionalmente oggettiva, come mezzo per raggiungere l’armonia e l’equilibrio universali, Mondrian è convinto di essere riuscito a unificare la materia con lo spirito (in accordo coi principi teosofici), che in arte obbliga la forma a convertirsi in contenuto di se stessa (come nell’opera di Kankinsky). Appare così – secondo il suo punto di vista – la realtà pura, che si trova palese in ogni fenomeno naturale, e che lui rivela nelle sue immutevoli relazioni.

Quando dopo il 1938, in seguito agli eventi bellici, lascia Parigi dove vive dal 1919 trasferendosi prima a Londra e poi (1940) a New York, a contatto con la tumultuosa civiltà americana, e forse anche in relazione alle ore drammatiche che tutto il mondo vive, le sue superfici dipinte si frantumano; si amplia, con l’aggiunta dei secondari e dei terziari, la gamma dei colori (che si alternano con frequenza), il quadro è sottoposto a un nuovo dinamismo.

È un ulteriore aspetto della concezione artistica di Mondrian, della quale solo il sopraggiungere della morte ha interrotto gli sviluppi.

Broadway  Boogie-Woogie; 1942-1943; New York, Museum of Modern Art


Bibliografia

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Categorie:R07- Arte contemporanea - Contemporary Art

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