La Basilicata ha maschere legate alla tradizione arcaiche e contadine, a volte legate al personaggio dell’uomo selvatico.
PROVINCIA DI POTENZA
Carnevale di Satriano
Tipici del Carnevale di Satriano sono i particolarissimi Rumit, sorta di alberi semoventi che provengono dai boschi ed invadono il paese, l’Urs e la Quaresima. L’ultima domenica prima del martedì grasso ci si traveste da Rumit (eremita). La maschera rappresenta un uomo completamente ricoperto di foglie di edera, un uomo albero. All’alba questi cespugli vaganti escono dal bosco per raggiungere le strade del paese. Con il ‘fruscio’, un bastone con all’apice un ramo di pungitopo, bussano a tutte le porte: chi riceve la visita del Rumit rispetta il silenzio della maschera e, in cambio di buon auspicio, gli dona qualcosa. Nel corso dei decenni l’interpretazione che le varie generazioni hanno dato a questa misteriosa figura sono cambiate: gli anziani parlano di un eremita che – dopo un inverno rigido – usciva dai boschi per chiedere qualcosa da mangiare. Poi le vicende dell’emigrazione hanno accostato questa figura al satrianese che non aveva la possibilità di lasciare la Basilicata e che, rimasto in una situazione di assoluta indigenza, si nascondeva con delle foglie per restare anonimo. Nella rappresentazione, altre maschere rituali sono Urs e Quaresima: la prima simboleggia l’uomo-animale vestito di pelli ovine e indica prosperità, fortuna e successo. E’ l’ emigrato che ha fatto fortuna e perciò tornato con pelli pregiate e ricchezze, e che – a causa della prolungata lontananza dalla sua terra – è praticamente muto. La Quaresima, invece, è una donna coperta da un manto nero che procede lungo le vie del paese con passo lento e malinconico, portando sulla nuca una cesta con suo figlio concepito durante il periodo del Carnevale, di cui però non si conosce il padre. Poi c’è ‘A Zita e Lu Zit (la sposa e lo sposo, in dialetto): la messa in scena del matrimonio contadino con lo scambio dei ruoli, i maschi fanno le femmine e viceversa. Percorrono così le strade del paese a ritmo di balli e risate, accompagnati da un bizzarro corteo nuziale.
VIDEO
La foresta che cammina del Carnevale di Satriano 2015 – The walking forest (video ufficiale)
Carnevale di Pietrapertosa
Il Carnevale di Pietrapertosa è una festa in cui si inscena il processo a Carnevale. Per il paese sfila un colorato corteo formato da giudici, cancellieri e dalla Quaremma, la moglie di Carnevale e futura vedova, che procede incatenata e seguita dai gendarmi. Il suono della cupa-cupa, durante tutto il periodo di carnevale, segna l’arrivo di gruppi di maschere per la tradizionale questua di dolci e salsicce.
Il martedì grasso i festeggiamenti culminano con il processo al Carnevale che, punzecchiato dal Diavolo con il volto nerofumo e corna caprine, e rimpianto da sua moglie Quaremma, viene inesorabilmente condannato al rogo.
Il processo si consuma in piazza, dopo un dibattimento satirico la condanna è inevitabile, il fantoccio di Carnevale verrà impiccato e bruciato. Su di lui infierirà una maschera con le corna di un caprone e tutta vestita di nero, è il demonio che con il suo forcone pungerà i resti del condannato.
Il Carnevale si chiude con la Sagra della rafanata, un banchetto a base della tipica frittata fatta con radice di rafano e pecorino.
Il Domino di Lavello
La maschera principale del Carnevale lavellese, come potete vedere in foto, è il cosiddetto Domino: una lunga tunica in raso, generalmente di colore rosso, ornata da un cappuccio che nasconde il viso e da un cordone che cinge il saio. Ogni mascherato inoltre porta con sé un sacchettino, intonato con il colore del domino, dove conserva caramelle e cioccolatini da donare a chi accetta l’invito di ballare insieme nelle varie feste. Il colore del domino variava in base al ceto sociale di chi lo indossava e così poteva essere rosso o nero, successivamente anche blu. Secondo alcune fonti il costume carnevalesco lavellese riprende le forme degli abiti indossati dai “Papalosce”, i confratelli della Buona Morte che accompagnavano i defunti in processione.
Il Domino affonda le sue origini lontane in un misto di sacralità, devozione e simbolo di allegria e baldoria. Il suo caratteristico tessuto in stoffa di raso prevalentemente di colore rosso (che stava ad indicare il ceto popolare di appartenenza di chi lo indossava) era un saio che ricopriva tutto il corpo con un cordone in vita. Poi c’era anche annesso un cappuccio di egual colore e una maschera di stoffa per coprire il volto.
Inoltre il figurante mascherato era dotato di una sacca sempre intonata con il colore del domino dove c’erano dolciumi vari, tra cui soprattutto caramelle da donare in modo particolare a chi si prendeva a ballare nei luoghi esclusivi della festa, cioè i festini.
I colori naturalmente dei Domini potevano variare a seconda di chi li indossava specialmente per il ceto sociale di appartenenza e variavano dal colore azzurro al verde, al nero, eccetera. Secondo alcune fonti il costume carnevalesco lavellese prende le mosse per la sua esistenza e foggia da un consuetudinario costume della Confraternita della Buona Morte esistente presso la chiesa dell’Annunziata di Lavello e ricalca lo stilema dei confratelli che usavano un abbigliamento formato da un saio con cappuccio per le loro processioni e manifestazioni religioso-sacrali. Un tempo lo si festeggiava non solo ogni sabato dopo il 17 gennaio (entrata ufficiale del periodo carnevalesco) ma anche il giovedì e i domini il più delle volte si affittavano.
Infine, l’ultima sera dei festeggiamenti, viene messo in piedi il processo a Carnevale che verrà condannato e bruciato sul rogo.
Carnevale di Teana

Il Carnevale di Teana è uno dei più noti e seguiti in terra lucana, i cui protagonisti principali sono L’Orso e il Carnevale e proprio nei confronti di quest’ultimo, l’ultimo sabato, è ambientato il “processo”, parodia della “Passione di Gesù”. Un folto corteo di maschere, fin dalle prime ore del mattino, sfila nel bosco vicino al paese, dove si incontrano i personaggi più caratteristici: la “sposa” e lo “sposo” vestiti di tutto punto, quattro carabinieri rigorosamente in divisa, un prete, un giudice e due medici. Nessuno parla per non essere riconsciuto, l’unico a pronunciare una parola, e sempre la stessa, “salsiccia”, è “u’ Pezzente”, mendicante che cammina sostenuto da un bastone e raccimola denari e cibo in una sacca di juta.
Tutta vestita di nero c’è poi “Quaremma”, pazzamente innamorata di Carnevale, suo marito, un povero contadino ormai perso nei fumi dell’alcol, trascinato, barcollante, da due carabinieri.
Tra le maschere si distingue anche l’Orso, figura selvaggia dall’andatura minacciosa. Questo strano ma vivace corteo si spinge fin nel centro storico tra balli e canti in dialetto, finché non si assiste alla fucilazione del “Carnuluvar”.
PROVINCIA DI MATERA
Le maschere cornute del Carnevale di Aliano
Il Carnevale di Aliano si articola in due giorni, la Domenica e il Martedi Grasso. Costruite da sapienti mani artigiane, le maschere cornute – in argilla e cartapesta – riproducono in chiave mostruosa e grottesca le sembianze di animali – musi di buoi, arieti e montoni, becchi di falchi e gufi – oppure quelle di grotteschi volti umani e di demoni cornuti.


Le maschere sono completate da un copricapo conico sormontato da una folta criniera di striscioline di carta colorata e da variopinte piume di gallo o pavone. Il costume, nella sua semplicità, rivela la sua origine popolare e contadina, perchè è costituito dai classici mutandoni invernali (“i cauzenitt”) e dalla maglia di lana cinta trasversalmente da un nastro di cuoio da cui pendono numerosi campanelli di bronzo che trillano a ogni movimento e finimenti di muli e cavalli. Una fascia di crine circonda la vita, mentre ai piedi indossano stivali ricoperti di lungo pelo d’animale.

Legato al fianco, ma pronto per essere brandito e usato contro chi ostacola il corteo è infine il ciuccigno, una sorta di manganello flessibile. Del resto, tradizionalmente alle maschere era consentito tutto, anche sovvertire l’ordine dei rapporti sociali e picchiare chiunque, contadino o signore che fosse, portando così a compimento la funzione di disturbo e di rinnovamento assegnata al Carnevale.
Il corteo dei Mesi e delle Stagioni nel carnevale di Cirigliano (Mt)
Nel carnevale di Cirigliano sfila un colorito e variegato corteo nel quale ogni maschera rappresenta una coltura tipica di ognuna delle stagioni o dei mesi dell’anno. Il corteo si fa strada al suono assordante dei campanacci, aperto dai pastori e dai preti blasfemi che accompagnano con in mano una croce ed il teschio di un bovino il feretro del Carnevale trasportato a spalla per le vie del paese. Carnevale, spesso impersonato da un giovanotto in carne ed ossa, viene compianto dalla vedova “Quaremma”. Terminato il corteo funebre si compie il rogo del Carnevale, un fantoccio che viene fatto bruciare come rito propiziatorio per la stagione primaverile che sta per sopraggiungere.
Il Carnevale di Tricarico
Durante il Carnevale di Tricarico compaiono le maschere zoomorfe del Toro e della Mucca.
La maschera da mucca è costituita da un cappello a falda larga coperto da un foulard e da un velo e riccamente decorato con lunghi nastri multicolori che scendono fino alle caviglie; la calzamaglia indossata (o, in alternativa, maglia e mutandoni di lana) è anch’essa decorata con nastri o foulards dai colori sgargianti al collo, ai fianchi, alle braccia ed alle gambe. La maschera da toro è identica nella composizione ma si distingue per essere completamente nera con alcuni nastri rossi. Ogni maschera ha un campanaccio, diverso nella forma e nel suono a seconda che si tratti di mucche o di tori.Per il carnevale di Tricarico è stato ipotizzato un collegamento al fenomeno antico del sincretismo tra cultura greca e lucana. Nelle maschere di Tricarico, sono stati inoltre evidenziati elementi che si ritrovano nel mito di Proitos e delle sue figlie, le Pretidi, di Melampo e di Io, nei quali sono presenti riferimenti metaforici all’accoppiamento, e quindi alla fertilità, in una logica etica e non dionisiaca, non delle “vacche”, ma dei componenti del gruppo sociale subalterno.
Carnevale di San Mauro Forte
La sagra del Campanaccio: festa di antichissima tradizione, si svolge a partire dal 16 gennaio ed ha origine sia nei riti pagani propiziatori legati al culto della terra ed alla transumanza e sia nelle celebrazioni sacre in onore di Sant’Antonio Abate. Gruppi numerosi di uomini girano rumorosamente per le strade del paese con grossi campanacci, che suonano tenendoli tra le gambe. I campanacci sono di sesso maschile e femminile, i primi più lunghi, i secondi più larghi; hanno funzioni propiziatorie, di fecondità dei campi e di sollievo dai malanni. I campanari iniziano il loro peregrinare con tre giri intorno alla chiesa di San Rocco, dove è custodita l’immagine di Sant’Antonio Abate; i rumorosi cortei si fermano di tanto in tanto quando i campanari sostano nei pressi delle cantine o di punti di ristoro dove vengono loro offerti bicchieri di vino o salsiccia ed altri prodotti derivati dall’uccisione del maiale, e poi ripartono con il loro fragoroso trambusto fino a notte fonda.
Carnevale di Montescaglioso
I Campanacci caratterizzano anche il carnevale di Montescaglioso. In quest’ultimo centro tra le tante maschere si ricordano anche la quaremma, il cucibocca, u’ zembr, u’ fus’ (o “la parca”) e ’u zit’ e ’a zita.
Quaremma
La Quaremma è una pupa di paglia e di stracci raffigurante una vecchia brutta e magra, abbigliata con abiti neri, con la conocchia e il fuso appesi al fianco. E’ la moglie di Carnevale o Carnevalone, ed è vestita a lutto per la moglie del marito, in alcuni centri bruciato sul rogo l’ultima domenica di Carnevale. Azione che indica alla popolazione la fine dei bagordi e l’inizio della Quaresima, tempo di digiuno e di penitenza. Alcune volte si notano, appesi, anche sette piccoli fantocci al fianco della Quaremma. Sono i figli della Quaremma e sono anche le sette settimane della Quaresima. La celebrazione della Quaresima, risale alla metà del II secolo d.C. In origine durava sei settimane ed era caratterizzata da diversi rituali che la differenziavano dalle altre festività. Il Mercoledì delle Ceneri segnava, e segna ancora oggi, l’inizio della Quaresima (Quadragesima), periodo di quaranta giorni dedito alla moderazione, al ritiro, alla purificazione del corpo e dell’anima, che si concludeva, come oggi, il giorno di Pasqua. Proprio in riferimento a queste disposizioni ecclesiastiche sono nate alcune parole come Carnevale (dal latino carnem levare, cioè eliminare la carne) o Martedì Grasso (l’ultimo giorno di carnevale, in cui si può mangiare “di grasso”).
Cucibocca
I Cucibocca si presentano come figure vestite di scuro, con indosso un mantello o vecchi cappotti, in testa un cappellaccio o un disco di canapa da frantoio, il viso incorniciato da folte barbe bianche. Al piede una catena spezzata che striscia sul selciato con un sordo rumore. Bussano alle porte e chiedono offerte in natura. In mano un canestro con una lucerna ed un lungo ago con cui minacciano di cucire la bocca ai bambini. Così come vuole la tradizione, in casa e in piazza, si consumano i nove bocconi del Cucibocca. Nella notte che precede l’Epifania il cucire la bocca segna la fine delle libagioni natalizie. L’avvicinarsi della Quaresima induce al digiuno ed alla astinenza dalla carne, per altro ancora praticate nella vigilia dell’Epifania nelle comunità iitaloalbanesi della Basilicata e della Calabria. Secondo una credenza ancora presente in molti paesi del Meridione, nella notte del 5 Gennaio, le anime dei defunti, tornano tra i vivi dal Purgatorio e si dirigono verso le case dove hanno vissuto. Il corteo sfila nella notte più profonda, invisibile ai viventi che, nel totale silenzio, si barricano in casa e lasciano un’offerta, libagioni e acqua per dissetare le anime arse dalle fiamme. Il misterioso corteo dei Cucibocca, con un fiammella in un canestro, la catena al piede che segnala la loro presenza e la richiesta del silenzio e dell’offerta, appare una rivisitazione della processione delle anime del Purgatorio. Un’altra suggestiva tradizione evoca memorie ancora più ancestrali. Nella notte che precede l’Epifania, gli animali riacquistano il dono della parola, possono predire l’immediato futuro, ma hanno anche il potere di maledire gli uomini che maltrattano le bestie ed osino origliare il loro sommesso parlare.
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